IL TRIBUNALE Vista l'istanza di riesame presentata dall'avv. Daniela Agnello del foro di Messina, difensore di fiducia Gambelli Piergiorgio + 137, avverso il decreto di perquisizione locale e personale con conseguente sequestro ex art. 252 c.p.p., emesso in data 1 marzo 2001 dal sostituto procuratore della Repubblica di Fermo Dott. Raffaele Iannella, nonche' al decreto di sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p., emesso in data 1 marzo 2001, dal g.i.p. presso il tribunale di Fermo, Dott. Ugo Rosati, nell'ambito del procedimento penale 351/01 r.g.n.r. e n. 1210/01 r.g.g.i.p. del tribunale di Fermo, per i reati di cui agli artt 81, 110, 640 2o comma c.p. e art. 4 comma 1 legge n. 401/1989; Rilevato che il p.m. e il g.i.p. presso il tribunale di Fermo hanno individuato l'operativita' di un'organizzazione, diffusa e capillare, di Agenzie italiane collegate via internet con il bookmaker inglese Stanley International Betting di Liverpool, con i compiti di raccolta nel territorio dello Stato di scommesse ad esso riservate per legge con modalita' riassumibili nei seguenti termini: comunicazione da parte del giocatore al responsabile dell'agenzia delle partite sulle quali intende scommettere e indicazioni della somma giocata; invio da parte del predetto responsabile, tramite sistema informatico internet, della richiesta di accettazione al bookmaker inglese con indicazione degli incontri di calcio nazionali e delle puntate effettuate; invio da parte del predetto bookmaker tramite il medesimo sistema informatico e in tempo reale della conferma dell'accettazione della scommessa; consegna al giocatore di tale conferma e pagamento da parte del cliente del corrispettivo dovuto, inoltrato poi al bookmaker inglese su apposito conto estero; sul presupposto che tali condotte e tali modalita' di ricezione e trasmissione delle scommesse integrano il reato di cui all'art. 4 legge n. 401/1989, violano il regime di monopolio Coni sulle scommesse sportive con danno per lo Stato e ingiusti profitti; Vista la questione pregiudiziale comunitaria eccepita dall'avv. Agnello, difensore degli indagati, ai sensi dell'art. 234 del trattato istitutivo della Comunita' europea (come modificato dal trattato di Amsterdam) ex art. 177 del trattato CEE, nell'assoluta contrarieta' al diritto comunitario di cui agli artt. 43 e segg., 49 e 50, del trattato con l'art. 4 legge n. 401/1989 e successive modifiche, (art. 37 legge finanziaria 2001), nonche' la questione di legittimita' costituzionale ai sensi dell'art. 23 legge n. 87/53 per violazione degli artt. 3, 10, 11, e 41 Cost.; Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso; Udito il relatore alla camera di consiglio del 28 marzo 2001, Presidente, dott. De Angelis; Udito l'avv. Agnello per gli indagati, si osserva quanto segue. Dagli atti emerge che la Stanley International Betting Limited e' una societa' di capitale inglese, registrata in Inghilterra, che svolge l'attivita' di bookmaker ed e' autorizzata ad esercitare tale attivita' con licenza ai sensi del Betting Gaming e Lotteries rilasciato dalla City di Liverpool, con competenze del Regno Unito e all'estero. Il bookmaker esercita le organizzazioni di scommesse in virtu' della licenza inglese e si avvale di forme pubblicitarie su quotidiani e settimanali. La societa' inglese organizza e gestisce le scommesse, individua gli eventi e le quote, assume il rischio economico, opera anche in virtu' di raccolte telefoniche e telematiche, paga le tasse inglesi e le relative vincite. Il diritto comunitario riconosce alla Stanley il diritto di aprire centri o stabilimenti all'interno dei Paesi membri della CEE. I centri o stabilimenti mettono a disposizione degli utenti il percorso telematico in favore del bookmaker, raccolgono le prenotazioni e le trasmettono a Liverpool. L'art. 4 della legge n. 401/1989, punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni, chiunque esercita abusivamente l'organizzazione di scommesse che la legge riserva allo Stato o altro ente concessionario o su attivita' sportive gestite dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) dalle organizzazioni da esso indipendenti o dall'Unione italiano per l'incremento delle razze equine (UNIRE). Il comma 4-bis della medesima disposizione normativa (introdotta con la legge 23 dicembre 2000 n. 388) ha esteso le medesime sanzioni a chiunque svolga in Italia qualsiasi attivita' organizzata al fine di accettare o raccogliere o comunque favorire l'accettazione o in qualsiasi modo la raccolta, anche per via telefonica o telematica, di scommesse di qualsiasi genere da chiunque accettate in Italia o all'estero. La Corte di Giustizia Europea, nella sentenza del 21 ottobre 1999, causa - 67/98, ha chiarito che "le disposizioni del trattato relative alla libera prestazione di servizi non ostano ad una normativa nazionale come quella italiana che riserva a determinati enti il diritto di esercitare scommesse sugli eventi sportivi, ove tale normativa sia effettivamente giustificata da obiettivi di politica sociale tendenti a limitare gli effetti nocivi di tale attivita' e ove le restrizioni ad essa imposte non siano sproporzionate rispetto a tali obiettivi". Al punto 18 della predetta sentenza ha rilevato che le scommesse, al pari dei giochi di puro azzardo, comportano gli stessi rischi di criminalita' e di frode e possono avere le stesse conseguenze individuali e sociali dannose. Al punto 31, conformemente al punto 58 di altra sentenza nella causa Schindler, la Corte si ricollega anche alla tutela dei destinatari del servizio e piu' in generale dei consumatori, nonche' alla tutela dell'ordine sociale collegato alle esigenze operative connesse all'interesse generale. La Corte evidenzia che le disposizioni interne devono essere valutate alla luce degli obiettivi perseguiti dalle autorita' nazionali dello Stato membro interessato e del livello di tutela che esse mirano a garantire. La Corte ha indicato che le limitazioni sono ammissibili solo se si persegue un obiettivo di autentica riduzione delle opportunita' di gioco; e ancora che il rilievo del finanziamento di attivita' sociali attraverso un prelievo sugli introiti derivanti da giochi autorizzati, non puo' essere considerato di per se' una giustificazione oggettiva di restrizioni alla libera prestazione di servizi. La giurisprudenza di legittimita' ha ritenuto che la legislazione italiana attiene alla protezione di una pluralita' di interessi, non solo finanziari dell'Italia, in quanto mira ad evitare che il gioco di azzardo sia fonte di profitto individuale, di frode e di rilevanti rischi di criminalita', di alterazioni di risultati di competizioni sportive e di conseguenze individuali e sociali dannose derivanti dall'incitazione alla spesa, nonche', in via accessoria, ma non indifferente, serve per finanziare attivita' di interesse generale come lo sport e la cultura. Gli indagati, come puo' evincersi dagli atti, non solo hanno coadiuvato il bookmaker nell'attivita' di raccolta delle scommesse, ma hanno anche espletato un'attivita' economica e un servizio in favore dell'impresa straniera. Anche se formalmente il p.m. ha indicato, quale norma di legge violata, solo il primo comma dell'art. 4 legge cit., nondimeno, nella motivazione del decreto di sequestro ex art. 252 c.p.p. e nella richiesta di sequestro preventivo rivolta al g.i.p., ha individuato e descritto la condotta degli indagati quale "agevolatrice" dell'attivita' dei bookmaker stranieri, con conseguente tacito riferimento anche alle ipotesi criminose previste dai commi bis e ter del citato art. 4, introdotte dalla legge n. 388/2000. Conseguentemente, ritiene il collegio che la decisione in merito al riesame, come sopra proposto, non possa avvenire prescindendo dall'eventuale applicazione del disposto dei commi bis e ter dell'art. 4 legge citata (peraltro la Cass. ha ribadito costantemente che "il tribunale del riesame deve stabilire l'astratta configurabilita' del reato ipotizzato. Tale astrattezza, pero', non limita i poteri del giudice nel senso che questi deve prendere atto della tesi accusatoria ma determina soltanto l'impossibilita' di esercitare una verifica in concreto della sua fondatezza. Alla giurisdizione compete il potere - dovere di espletare il controllo di legalita', di integrare le motivazioni e di procedere anche ad una diversa qualificazione giuridica del fatto sottoposto alla sua cognizione" (Cass. sez. un. 29 gennaio 1997 n. 23 e altre). In virtu' di quanto sopra, il tribunale osserva quanto segue: l'istanza di riesame che perviene a codesto tribunale, solleva - insieme a profili di diritto interno - pregiudiziali questioni di compatibilita' di norme nazionali con disposizioni sovraordinate di diritto comunitario, la cui risoluzione potrebbe definire la materia del presente giudizio. Occorre precisare che sulla materia si sono pronunziate innumerevoli autorita' giurisdizionali di merito italiane con contrastanti e contraddittorie soluzioni. E' stata prospettata dalla difesa degli indagati la possibile contrarieta', agli artt. 49 e segg. Tr. CE in materia di liberta' di prestazione dei servizi e artt. 43 e segg. Tr. CE in materia di liberta' di stabilimento e altro, dell'art. 4, comma 1 e segg., della legge 13 dicembre 1989, n. 401 che punisce con la reclusione da mesi sei ad anni tre il fatto di chi comunque organizza scommesse su attivita' sportive gestite dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI); nonche' dei recenti artt. 4-bis e 4-ter della medesima legge n. 401/1989 (introdotti dall'art. 37, comma 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388) per i quali vengono specificamente penalmente sanzionati i comportamenti di chiunque, privo di concessione, autorizzazione o licenza ai sensi dell'art. 88 del TULPS (RD 18 giugno 1931, n. 773) svolga in Italia attivita' organizzata al fine di accettare o raccogliere, o comunque favorire l'accettazione o la raccolta, anche per via telefonica o telematica, di scommesse di qualsiasi genere da chiunque accettate in Italia o all'estero, e di chiunque effettui la raccolta o la prenotazione (fra l'altro) di scommesse per via telefonica o telematica, ove sprovvisto di autorizzazione all'uso di tali mezzi per la predetta raccolta o prenotazione. E' nota a codesto collegio la giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunita' Europee in materia di scommesse sollevate in sede amministrativa in merito alla libera circolazione dei servizi. Ritiene il collegio che le questioni che debbono essere qui sollevate non siano pienamente riconducibili alle fattispecie che erano state ivi interpretate e regolate e che la materia, anche alla luce della recente innovazione legislativa, sia meritevole di nuova considerazione. Invero, la norma dell'art. 4, comma 1, legge n. 401/1989 non esclude la punibilita' nell'ipotesi in cui l'agente abbia la qualita' di impresa estera comunitaria (abilitata dalle competenti autorita' del Paese di appartenenza), sicche' potrebbe configurarsi un'inaccettabile discriminazione rispetto agli operatori nazionali (muniti delle prescritte concessioni o autorizzazioni abilitanti) impegnati in identiche attivita' di raccolta ed accettazione di proposte di scommesse sportive per conto del CONI. Cio', potrebbe, a giudizio del tribunale, contrastare con i principi di liberta' di stabilimento e di liberta' della prestazione dei servizi transfrontalieri, consacrati negli artt. 43 e segg. e 49 e segg. del Trattato CE. Il problema della compatibilita' tra la normativa nazionale e il disposto del trattato CE e' gia' stato affrontato dalla Corte di cassazione nella sentenza 1680/2000, nei termini di cui sopra; in particolare per quanto attiene al potenziale pericolo per l'ordine pubblico che deriverebbe dal libero esercizio delle attivita' connesse con le scommesse, si osserva che tali esigenze possono essere adeguatamente salvaguardate nell'ipotesi in cui l'operatore sia un'impresa gia' assoggettata al controllo circa le garanzie di correttezza del suo operato, nel Paese di appartenenza. Non puo' inoltre essere ignorato il fatto che in Italia si assiste ad un progressivo ampliamento delle possibilita' di gioco e di scommessa: cio' non consente di ritenere sussistente il rischio, paventato dalla Corte di cassazione nella suddetta sentenza, di ulteriore incitazione alla spesa, anche per la niarginalita' del fenomeno delle scommesse con operatori esteri rispetto al mercato nazionale dei giochi. Perplessita' ancora maggiori derivano dall'analisi della problematica degli introiti erariali derivanti dai giochi nazionali autorizzati. Infatti, con l'aggiunta dei commi 4-bis e 4-ter al suddetto art. 4 si e' esteso il perimetro delle condotte penalmente rilevanti anche a chi "favorisce l'accettazione o in qualsiasi modo la raccolta anche per via telefonica o telematica di scommesse di qualsiasi genere, da chiunque accettati, in Italia o all'estero". Per effetto di tale innovazione legislativa, vengono punite anche le attivita' di raccolta di scommesse su eventi sportivi internazionali o eventi mondani o di altro genere, sulle quali lo Stato non ha alcun interesse fiscale. Tali considerazioni consentono di ritenere superato il principio enunciato dalla Corte di cassazione nella suddetta sentenza, perche' il divieto di tali attivita' non appare giustificato dall'esigenza di finanziamento delle attivita' di pertinenza del CONI. Dalla lettura dei lavori parlamentari all'emendamento della finanziaria 2001 emerge che le ulteriori restrizioni sono dettate prioritariamente dall'esigenza di salvaguardare la categoria dei "Totoricevitori" sportivi, categoria imprenditoriale privata, mentre non e' dato ravvisare alcuna preoccupazione di ordine pubblico che possa giustificare la limitazione dei diritti comunitari o costituzionali. La liceita' dell'attivita' di raccolta e di trasmissione delle scommesse su eventi sportivi esteri, ricavabile dall'originaria formulazione dell'art. 4, ha determinato lo svilupparsi di una rete di operatori che hanno investito capitali e mezzi nel settore e che vedono improvvisamente pregiudicata la regolarita' e liceita' della loro posizione. Al riguardo, il tribunale osserva che appare palese il contrasto tra l'art. 4 citato e la tutela dei principi comunitari di diritto di stabilimento, libera circolazione dei servizi, nonche' tra le innovazioni legislative al cit. art. 4 e l'art. 41 della Costituzione, in tema di iniziativa economica privata su attivita' non assoggettate ad introito fiscale da parte dello Stato italiano (scommesse su eventi sportivi esteri o su eventi non sportivi). Inoltre, si ravvisa contrasto tra il predetto art. 4 e l'art. 3 della Costituzione, giacche' non appare giustificata la limitazione al libero esercizio del diritto di impresa con riferimento all'accettazione o attivita' di intermediazione di scommesse su eventi sportivi esteri o su eventi mondani, per i quali non sussiste l'interesse alla salvaguardia degli introiti fiscali. Si ravvisa inoltre contrasto tra il suddetto art. 4 il secondo comma dell'art. 10 della Costituzione, perche' il trattamento degli operatori stranieri all'interno dello Stato italiano non appare conforme alle norme ed ai trattati internazionali. Si ravvisa infine contrasto tra il predetto art. 4 e l'art. 11 della Costituzione avendo l'Italia, aderendo al trattato istitutivo della CEE, accettato limitazioni alla sovranita' nazionale nel settore economico, assicurando condizioni di parita' con gli altri stati. Il tribunale nutre perplessita' anche per due ulteriori ordini di motivi. Da un lato, il tribunale ritiene di doversi interrogare sul rispetto del principio di proporzionalita', fra l'intensita' estrema del divieto (repressione penale) scelta dal legislatore nazionale, e la rilevanza dell'interesse interno protetto che va a sacrificare le ricordate liberta' attribuite ai singoli dal Trattato CE; dall'altro lato, il tribunale ritiene di doversi interrogare sulla rilevanza dell'apparente discrasia fra una normativa interna di rigoroso contenimento delle attivita' di accettazione delle scommesse sportive da parte delle imprese comunitarie estere, ed una politica di segno opposto di forte espansione del gioco e delle scommesse che lo Stato italiano persegue sul piano nazionale con finalita' di raccolta erariale. Per altro verso, pare al tribunale che l'effetto di tali norme potrebbe essere di impedire in diritto, ovvero di rendere sommamente difficile od in pratica impossibile in via di fatto, alle regolari imprese od operatori esteri della Comunita' di svolgere in Italia attivita' di impresa nel settore - sanzionando penalmente la loro condotta - vuoi direttamente alla stregua di libera prestazione di servizi transfrontalieri, vuoi mediante lo stabilimento di una filiale o di una succursale nel nostro Paese. Per tutti i sopra esposti motivi, ritiene il tribunale che non si possa pervenire ad una decisione sulle proposte istanze di riesame delle misure cautelari reali di cui sopra e che dunque debbano essere accolte la questioni pregiudiziali prospettate dal difensore degli indagati, avv. Daniela Agnello e che stante la manifesta fondatezza della questione di legittimita' costituzionale della citata normativa, visto l'art. 234 (gia' art. 177) del Trattato CE, nonche' l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87 il tribunale di Ascoli Piceno: propone alla Corte di Giustizia delle Comunita' Europee la seguente questione pregiudiziale comunitaria: 1) giudizio di compatibilita', con conseguenti effetti nell'ordinamento giuridico interno, degli artt. 43 e segg. e 49 e segg. del Trattato CE, in materia di liberta' di stabilimento e di liberta' di prestazione dei servizi transfrontalieri con la normativa nazionale, quale quella italiana di cui agli artt. 4, comma 1 e segg., 4-bis e 4-ter dellalegge 13 dicembre 1989 n. 401 (come da ultimo modificata con l'art. 37, comma 5, legge 23 dicembre 2000 n. 388), contenenti divieti - penalmente sanzionati - di svolgimento delle attivita', da chiunque e ovunque effettuate, di raccolta, accettazione, prenotazione e trasmissione di proposte di scommessa, in particolare, su eventi sportivi, in assenza di presupposti concessori e autorizzatori prescritti dal diritto interno; solleva, nel contempo, davanti alla Corte costituzionale, la seguente questione di legittimita' costituzionale: se l'art. 4 legge 401/1989, cosi' come novellato dall'art. 37 comma 5 legge 23 dicembre 2000 sia costituzionalmente legittimo alla luce del disposto degli artt. 3, 10 secondo comma, 11 e 41 della Costituzione.